Extemporalitas

Blog de Giordano Mariani

Sessanta mesi su Twitter. [Exit].

L’esperienza è finita. Il cammino, durato 5 anni, esattamente sessanta mesi, si conclude qui. Addio. O, forse, arrivederci: nulla è più definitivo del dubbio, nel corso della vita terrena. Forse, la decisione è partita da lontano: era già in embrione ed in nuce  qui,e l’ho ruminata a lungo dentro me stesso. Interiormente, sono un diesel. Non ho rimpianti. Non albergano in me risentimenti. Non vi è alcuna circostanza contingente e particolare che mi abbia spinto a dare corpo a tale scelta, dopo averla a lungo meditata.

Il sentiero è stato bello, a tratti duro, qualche volta durissimo, nella affollata solitudine che contraddistingue spesso l’esperienza vissuta su di un social network. Almeno la mia. Aspro, nel senso di una declinazione competitiva o, peggio, conflittuale, mai. E’ stato il canone comunicativo che ho assunto all’origine di tale esperienza, coerente con uno statuto interiore e con la poetica di sempre, e, almeno questo, credo di essere riuscito a tenere nella linea di una piena continuità.

In qualche modo, mi dispiace. Come si addice ad ogni congedo, ad ogni sincero commiato, qualche nota di malinconia campisce lo sfondo, la scena in cui muovo questo passo d’addio. Dunque, perché chiudere [o smettere di frequentare, che sarebbe il suo equivalente rispettoso dell’intatta memoria del cammino] il profilo Twitter, che aprii nell’Ottobre del 2010, se tali sono i sentimenti che ancora nutro verso quella umana vicenda? Non voglio e non posso esprimerne qui, in modo approfondito ed esteso, l’intero e compiuto significato. Quello che le ho attribuito, che ho tentato di vivere, che sono riuscito a vivere. Non voglio e non posso farlo in questo breve post, che avrebbe la sola minuscola ambizione di essere segno di gratitudine e cenno di saluto verso coloro che hanno condiviso il mio profilo. Ne ho già ampiamente scritto altrove, in un lavoro iniziato qui  e che solo un paio di mesi fa ritenevo concluso, per come e per quanto possa mai esserlo un testo. Oggi so che rimetterò mano allo scritto: l’ho già fatto, nella stesura in bozza. Lì, l’ininterrotto sentiero creativo che ho tentato di tracciare durante cinque anni, è ripreso nella sua forma originale [la poesia e la prosa poetica che per 5 anni ho pubblicato sul profilo] e posto nella luce del fuoco interiore più vivo. E’ passato al calor bianco dell’empatia, tutta quella che mi è stato possibile tentare di vivere e di condividere, nelle relazioni e nei dialoghi che si sono accampati e sono fioriti nel tempo.

Voglio solo aggiungere che, per quanto mi riguarda, ogni esperienza è viva unicamente se vera, se dunque attinge e al tempo stesso crea, informando di sé la storia, anche quella piccola feriale, e non solo quindi rappresentandola, o narrandola, un senso. Vorrei dire il Senso. Mi riferisco naturalmente qui ad un’esperienza generale [non generica], e non alle singole e diverse relazioni che possono costituire un accento eretico rispetto ad essa, e perciò spesso salvifico, nel contesto ampio di cui si tratta. Il Senso vive unicamente se attinge valore. Fino a quando tali presupposti, indicati in modo sommario ma non approssimativo qui, sono vivi, postulano l’essere vivo dell’organismo che ispirano o ai quali esso si ispira. Quando una di tali condizioni fondative viene meno, l’organismo lentamente decade ed infine si spegne [Ontologia dell’essere, dunque, nella coerenza, una risonanza piena in un’Ontologia della prassi]. Nella particolare circostanza, intendo riferirmi anche, ma non solo, alla persuasione ed alla retorica [Carlo Michelstaedter, un fondamento di visione per tutti gli eventualmente omessi…], nella loro declinazione poetica [di una poetica: evidentemente, la mia], esercitata con la flessione formale della parola, il canto. Dunque, una parola persuasa [la parola vera, celaniana…], che in nulla indulge alla retorica. A 62 anni, posso dire che devo qualcosa anche a me stesso, oltre che ai rari indimenticati ed indimenticabili maestri che ho incontrato. Nella vita e nel testo, nella vita o nel testo. Fatta salva la consapevolezza originaria ed estrema che la Vita tutta è un dono ricevuto nel solco della gratuità, il seme attinto del Divino, qualunque fosse il Suo nome, anche Nessuno.

Quando il limen, la soglia interiore, viene minacciata da un esercizio privo [da una prassi] del fondamento ontologico, si avvicina l’ora degli addii. Del congedo. Devo necessariamente e di nuovo precisare ora che tutto ciò riguarda solo ed esclusivamente me stesso. Non le persone con le quali sono entrato in relazione, non il SN nella sua vastità e visto secondo i suoi caratteri primari: sarei presuntuoso se pensassi di poter rispondere di altri che di me, in un così precario contesto comunicativo, in divenire, ed in una approssimazione così forte di gran parte [non tutti: questo credo sia il punto epico ed apicale, dal quale prende anima e corpo questa sintesi…] dei profili identitari presenti ed incontrati. Ho sperimentato sul social network, durante cinque anni, sino al limite estremo di me stesso, e sino al limite delle mie potenzialità creative, la sintassi interiore dell’essere persona e la visione poetica che anima la parola creatrice secondo la mia poetica. Esse sono una, una sola cosa ed un’unica visione in me. Lo sono per vocazione e per scelta. Essendo per me la vita stessa il canto ed il canto la vita. E’ dunque di uno stato esistenziale e di uno statuto creativo personali, che scrivo, qui ed ora. Ad essi e ad essi soltanto mi riferisco. Di essi sostengo limiti e visione. Se il mio essere su Twitter non ha più alcun senso, se l’esperienza non attinge il Senso, non lo attinge più, significa che nel mio sguardo interiore non è più dato, rispetto naturalmente a tale cammino, l’orizzonte di valore che mi ha animato e che dettava l’essere presente ed in relazione, nella parola e con la parola, sul SN.

Rimane una scelta, tuttora aperta, riguardo al destino del profilo. Per qualche tempo ancora, dopo la pubblicazione di queste righe di congedo, lo lascerò sicuramente attivo ed aperto. E’ tutto quello che so e che posso dire in proposito, ora.

I saluti e le gratitudini. La mia vita sul social network non è stata quantitativamente molto affollata e numericamente rilevante. Posso dunque permettermi di ricordare, oltre a porgere un saluto ed un grazie a tutti e a ciascuno dei non tantissimi che ho incontrato sia pure, alcuni, fugacemente e sporadicamente lungo il cammino, qualcuna tra le persone che più di altre, o più di tutte, mi hanno fatto dono di una relazione intensa, talvolta prossima all’empatia della comunione. Secondo una visione comunicativa che, al diapason di sé, incarna e suscita una prossimità forte con la poetica che ha animato l’intero vissuto di poeta. Prima e dopo l’avvento della Rete. Non distinguerò in nulla tra una presunta vita reale e l‘altra detta virtuale. Per me esiste ed è sempre esistita unicamente la vita [la Vita], la cui verità è vissuta da ciascuno secondo visioni diverse e la cui declinazione narrativa ha conosciuto sempre nuove e sempre diverse forme espositive e mezzi nuovi di diffusione: prima, quando il formato analogico invitava a dialogare nel testo anche con anime i cui corpi erano scomparsi alla vista, stabilendo con loro relazioni spirituali  non del tutto dissimili, anzi a mio avviso fondatamente identiche, da quelle nate ed intrattenute dopo, quando la sintassi digitale ha consentito, e forse in qualche modo incoraggiato, un dialogo più serrato ed intenso tra lontani, ma spesso non identitariamente sconosciuti gli uni agli altri.

Il primo ad iniziare a seguirmi, subito ricambiato, è stato Tode, Carlo Todeschini, il fondatore di metarete, che ho conosciuto nel 1997, al quale devo un significativo tratto di alfabetizzazione digitale, compiuto sul finire degli anni Novanta. Il dialogo fra noi è continuato, dura ormai da quasi vent’anni, ed ha conosciuto forme e momenti diversi, come per esempio, tra i tantissimi altri, questo. Quando il mio profilo sul SN non era che un tremulo e fragile virgulto, nel vento incerto degli esordi, ho visto fissarsi per prima l’immagine di Tode, tra quelle dei follower.

Antonino Trimarchi è comparso sull’orizzonte del mio giorno in un bellissimo chiostro, a Rubiera. Eravamo entrambi ospiti di un’artista, invitati a partecipare ad un suo seminario di formazione. Sono trascorsi, credo, circa dieci anni da quel nostro primo incontro. Si può dire che Twitter è stato un minuscolo accento nel ben altrimenti più intenso dialogo nato e proseguito fra noi.

Ho incontrato Linda Losi sul treno che ci portava, credo fosse per tutti e due la prima volta, ad uno dei seminari di formazione per giornalisti che si svolgono ogni anno, dal 1994, presso la Comunità di Capodarco, a Fermo, organizzati da Redattore Sociale. Era, mi pare, il 2009. Mi affliggeva uno di quei piccoli dilemmi che, se non fugati in origine, ti trascinano nell’incertezza ogni volta che si ripresentano. Ero esitante riguardo alla scelta della fermata alla quale scendere, anche se il mio biglietto parlava piuttosto chiaro. Linda, che allora non conoscevo ancora, era salita a Bologna, ed insieme avevamo assistito alle evoluzioni, con qualche importante e pantagruelica digressione, di alcuni giovanissimi ed imponenti giocatori di pallacanestro scesi poi ad Ancona. Nello scompartimento, i cui occupanti si erano nel frattempo alternati, con la nostra sola fissa presenza, avevo chiesto se qualcuno sapesse indicarmi la successione corretta delle fermate. Linda, che non conosceva la mia meta, mi aveva mostrato l’orario ferroviario. Lei sarebbe scesa a Porto Sant’Elpidio, io a Civitanova Marche. Pur avendo, all’insaputa l’una dell’altro, un’identica destinazione. Abbiamo riso quando, dopo poco più di due ore, una volta giunti alla meta, nella grande sala ancora quasi vuota in cui si tiene ogni anno l’incontro di apertura dei seminari, ci siamo riconosciuti a distanza… E’ nato così un rapporto che dura e che Twitter ha in qualche particolare frangente sostenuto, quando, da lontano, abbiamo ravvivato l’eco di una memoria condivisa, in assenza di altri e diversi possibili segni di relazione.

L’ho già scritto: non è questo lo spazio degli approfondimenti di senso o dei sia pure inevitabilmente sommari accenni alla profondità, che sinceramente è stata, ed in qualche caso è tuttora, delle singole relazioni. Qui mi preme tenere una nota lieve e forse didascalica dei rispettivi cammini e del loro intersecarsi. So che verso tutti, e verso ciascuno singolarmente, coloro che mi hanno fatto il dono di seguirmi, sono debitore di una gratitudine: quella dovuta all’attenzione che mi hanno dedicato. Ancor più lo sono, evidentemente, nei confronti di quelle persone che ho deciso di seguire: numerose tra loro hanno reso più profonda ed accurata la mia consapevolezza in ambiti in cui sono un assoluto dilettante. Quasi tutti mi hanno gratificato con accenti umani che vorrei definire con un aggettivo semplice, ma insuperato, belli. Le omissioni sono da parte mia comunque inevitabili, ben oltre gli ineluttabili lapsus, e le presenze, in questo estremo cenno di riconoscenza, sono state distillate nel loro fondamento di verità interiore, sono state presenze vere. Non oso dire, in una luce steineriana [George Steiner], vere presenze. Certamente interiormente allineate con il reale, almeno per quanto mi riguarda e per quel che ho tentato di vivere in un profilo coerente tra essere e canto, tra vita e poesia, con quel che ho cercato di esprimere nelle premesse. Nulla, comunque, che ne potesse turbare il fondamento etico: se mai, sono state tutte, ciascuna a modo proprio, note sempre dedite, o vicine, a sostenerne l’armonico compiersi.

Anne-Françoise Kavauvea  Sotto il segno di Celan. Ho conosciuto Anne-Françoise in rete più di quattro anni fa. E’ stata la prima fra le persone incontrate, grazie alle quali la mia presenza sul SN si è sempre più orientata, in modo decisivo, verso l’essenza di me stesso, la poesia. Ricordo tuttora la viva emozione con cui ho letto le sue prime righe, sospinto verso il suo blog, del quale ignoravo fino a quel giorno l’esistenza, da un tweett.

Non nego che ad indurmi ancor più nella tentazione della lettura sia stato anche il titolo da lei scelto per il suo spazio di scrittura in rete, “De seuil en seuil”. Bellissimi, e per me oltremodo significativi, un viatico, i versi [in “Zwiegestalt”] che, tratti dalla stessa raccolta di Paul Celan da lei prediletta per il titolo, Anne-Françoise aveva posti quasi ad introito nel sottotitolo.

Ce n’era abbastanza, oltre all’ispirata vocazione del tweett, per iniziare a leggere senza remissione il suo testo. Una promessa mantenuta, che si è rivelata per me ancor più invitante della stessa chiamata.

Allora ero poco più che un esordiente sul SN e non avevo ancora iniziato a scrivere extemporalitas. Anne-Françoise, invece, sembrava essere piuttosto assidua sul SN e soprattutto curava il suo blog con una profondità di riflessione ed uno stile di scrittura accattivanti. Ho iniziato a seguirla, a commentare brevemente alcuni suoi post, a scriverle con posta elettronica.

E’ stato subito chiaro ad entrambi che la stella fissa, la prima almeno, seguendo la quale ci siamo incontrati ed alla luce della quale avremmo trovato sin da subito una sintonia viva di risonanze interiori e del pensiero, era Paul Celan.

Dopo un anno di corrispondenza, le nostre strade epistolari si sono allontanate, fino quasi ad interrompersi, fatto salvo qualche frammento di sentiero riaperto nel dialogo.

Marco Stancati Ho conosciuto Marco Stancati esattamente cinque anni fa, qui. Abbiamo partecipato, se non ricordo male, ad uno stesso workshop il secondo giorno del Seminario.

Ci siamo incontrati in un luogo di confronto e di crescita umana in cui non è stato difficile nemmeno ad un orso sessantenne e piuttosto socialmente bradipo come me stringere ed accettare la mano tesa e dialogante di un soggetto empatico per eccellenza quale Marco Stancati è.

Ricordo perfettamente la sera in cui, sulla navetta che dalla Comunità dove si svolgono abitualmente i lavori ci avrebbe accompagnati ai rispettivi alberghi, mi sentii chiamare. Era Marco, che mi voleva mostrare qualcosa. Teneva in mano il BlackBerry e scorreva rapidamente il suo profilo Twitter. “Ecco, ti ho messo tra le persone che seguo”, mi disse, mostrandomi l’immagine del mio account. Poiché non disponevo allora di un dispositivo mobile con cui collegarmi in Rete, solo una volta giunto a casa, due giorni dopo, potei ricambiare il follow. Poche settimane prima, avevo aperto un mio profilo. Contavo qualche follower, poco più di dieci, credo. Marco fu dunque tra i primi.

Negli anni successivi, ci siamo incontrati di nuovo ai seminari organizzati dal Redattore Sociale, dove abbiamo approfondito la reciproca conoscenza. Di quando in quando, Marco fa capolino nella mia vita, ora in formato analogico, in carne ed ossa, come accade appunto a Capodarco, o su carta, come quando mi ha gentilmente inviato due numeri di una rivista che dirige, “Next”. Ora in formato digitale, con inviti a scoprire ed a partecipare ad un mondo in cui egli si muove non solo da ospite, ma da protagonista esperto. Come questo, dove mi ha convocato con un DM [“c’è pane per i tuoi denti”, mi scrisse] e dove sono stato per qualche giorno, ed in momenti diversi, gratificato da una messe per me insolita di favoriti e di retweett. O mi coinvolge nella contemplazione di immagini spesso assai belle che mostrano i frutti del suo amore per la natura e per la cultura, o per entrambe insieme.

Roberte Romère Roberte è stata credo la prima persona che mi ha fatto il dono di tradurre qualche mio testo, poesia e prosa poetica, pubblicato sul profilo Twitter. Ne è nato un dialogo epistolare serrato ed intenso, seppur breve. Dello stesso tono e con lo stesso stile che ho imparato a conoscere di lei sul SN. Era, credo, il 2013. In quegli stessi mesi, in cui iniziamo a seguirci reciprocamente, abbiamo scambiato alcune riflessioni sulla TL. E’ stato, lo ricordo bene, un confronto gradevolissimo ed arricchente, almeno per me. Poi, è sceso il silenzio: per un anno e forse più, Roberte non ha frequentato, almeno attivamente, il SN. Devo ad un dialogo nato con lei il proposito di scrivere “Poesia in forma di twitt”.

Françoise Gérard Per tentare di dire di lei, di una reciprocità assidua nella lettura dei rispettivi testi e di uno scambio non di rado ispirato da una profonda sintonia,dovrei attingere la sacra discrezione della posta elettronica, una corrispondenza esigua e frugale, o i messaggi diretti. Non posso e non voglio fare né l’una né l’altra cosa. Françoise ha una sensibilità attenta e profonda: non le sfugge lo spirito dolente e non lo respinge mai. E’ in punta di tale delicatezza che, pur da lontano, mi sono scoperto e sentito spesso a lei vicino durante tutta l’avventura condivisa sul SN.

Élain Audet Tutto è iniziato, tra Élaine Audet e me, con un primo embrione di dialogo sulla TL. Era settembre del 2014, quando, con lieta sorpresa, ho trovato un mio tweet tradotto da Élaine. Ci seguivamo reciprocamente da tempo, su Twitter. Stimavo molto, e stimo tuttora, il suo lungo ed appassionato impegno, che avevo imparato un poco a conoscere qui. Soprattutto amavo ed amo, il verbo è giusto, la squisita qualità poetica di Élaine, che avevo la gioia di leggere spesso sulla TL.

È iniziato uno scambio, dapprima essenziale fino alla frugalità come accade sul SN, che si è aperto, e raramente succede, poi in un dialogo più ampio ed intenso, in gran parte condotto sulla TL, prima di sfociare nella diversa e più ampia forma dell’epistola elettronica. Serbo un ricordo bello e forte di quel periodo di lavoro, di reciprocità esperita sul filo vivo della parola, nel cuore intatto della poesia. Nutro per Élaine una gratitudine viva: le sue traduzioni, un dono per me prezioso, sono custodite in una carpetta azzurra, e mi apro in un sorriso, misto di nostalgia e di contentezza, quando, scorrendo le cartelle all’interno di “extemporalitas”, sull’HD, leggo: “Quaderno di traduzioni in lavorazione”. Tutto il prezioso dono di Élaine è serbato lì, nel suo formato digitale, insieme alle sudate carte che testimoniano di uno scambio serrato, di un lavoro appassionante, il suo. Dell’eccellenza della gratuità, quella che ho assaporato nella sua forma più decisiva, almeno per me, anche nella relazione spirituale  con Élaine.

Isabelle Pariente-Butterlin Di Isabelle Pariente-Butterlin ho scritto spesso e con accenti di sincera gratitudine ed ammirazione. L’ho fatto un po’ dovunque, sulla TL, su questo stesso blog, ogni volta che ho sentito nascere veri in me tali sentimenti. E non sono state rare le occasioni in cui mi è accaduto. Se vi è una persona alla quale potrei, e certamente dovrei, dedicare lo spazio più ampio e tutte le mie migliori attenzioni umane, nell’ambito di questo congedo, quella è Isabelle. Non ci scriviamo da mesi. Non ho mai incontrato fisicamente Isabelle. Fino a qualche mese fa, non l’avevo nemmeno mai vista in fotografia, forse unicamente nella forma minima di un’icona sul suo profilo. Devo a lei la continuità di una presenza sul SN, una conferma sotto il peso della quale ho spesso vacillato. Ho con lei un debito di riconoscenza inestinguibile ed inestimabile per gli accenti umani e poetici con i quali ha accolto sin dal nostro primo scambio sulla TL le mie riflessioni. Sul suo blog, sulla sua TL stessa. Quando ho deciso di aprire il mio blog ad uno spirito conviviale ispirato all’Agapé sororale e fraterna, ho pensato a lei per prima e l’ho invitata. Isabelle, generosa come sempre, mi ha fatto dono della sua squisita sensibilità, tutta esposta nel primo scritto che mi ha inviato e che ho pubblicato il 1° Gennaio del 2014, dischiudendo con le sue parole extemporalitas al nuovo inizio.

Corine Marbeuf Abbiamo iniziato a seguirci reciprocamente, Corine ed io, sul finire dell’estate 2014. Sin da subito, mi è sembrato di cogliere nella sua scrittura note discrete di un dettato interiore che suscitava in me vive risonanze. Così, quasi senza rendermene conto, e certamente senza alcuna intenzione progettuale, ho iniziato a leggere con sempre maggiore frequenza i testi che Corine pubblicava sul suo blog, au bord de mon chemin.

Ho punteggiato la lettura con tweet dedicati, traendo dagli scritti di Corine una frase, una citazione, l’icastica scintilla che, almeno a me, sembra rischiarare ed in qualche modo sintetizzare nella sua significazione apicale tutto il testo letto.

Non è trascorso molto tempo, da quando ho iniziato a leggerla. Non ho nemmeno considerato con quale frequenza, casuale, mi pare, Corine scriva. Però mi sono reso conto presto che le citazioni sembrano piccole perle di una preziosa collana, segnavia dei giorni, che stanno bene insieme. Una accanto all’altra in una sequenza che traccia un sentiero ininterrotto.

Ho provato a disporle in successione, interrogandomi sul significato possibile di quella sensazione. I testi di Corine sono un viatico orante nella temperie dei giorni. Sono prose, spesso sommesse, sempre delicate. Si accendono nel silenzio della ferialità con la compostezza di una preghiera ed hanno la sapidezza dell’esperienza. Sono l’icona orante di un vissuto che accompagna ed insieme scandisce il fluire dei giorni. Come un breviario laico.

Huê Lan Lan Un andamento rapsodico ha contraddistinto il mio rapporto con lei. Una frequentazione dei suoi testi nata, almeno per me, ben prima che iniziassimo a seguirci reciprocamente nell’estate del 2014. Potrei dire che un incantato ermetismo è la cifra distintiva di una poetica che mi ha sin da subito affascinato. Un enigma, un canto impenetrabile?, che è stato sale della curiosità e rimane come un’eco distinta di lei nel sentiero interrotto della nostra relazione spirituale. Credo che molto, e comunque il fondamento, sia detto lì, negli scritti di cui Huê mi ha fatto dono ed in quello che le ho dedicato sul blog.

Marina De Rose A Marina devo istanti bellissimi di condivisione della poesia e qualcosa di prezioso riguardo alla conoscenza poetica. Grazie a lei ho fatto alcune scoperte, ne ho confermate ed approfondite altre, tutte stimolanti e per me importanti, che lei ha incoraggiato ed alimentato con la delicatezza che la distingue nel porgere un sapere vasto, privo di iperboli celebrative e di vertici retorici. La sua presenza, la più assidua e viva nella lettura, nel presente storico di questo lungo addio, mi ha indotto in molte perplessità e ha suscitato una reticenza forte a compiere un gesto di congedo. Sapere che lei è là, sulla TL, così aperta sempre all’ascolto, così accogliente verso i sentimenti tesi alla speranza, così precisa e puntuale nel cogliere ciò che del canto significa e tempestiva nella generosità della risposta, è un viatico dolente, mentre decido di lasciare. Le devo anche il dono di un’incantevole traduzione di un mio tweet, dall’italiano in spagnolo, una lingua che non conosco, che solo intuisco, ma che infinitamente amo nella sua per me particolarissima musicalità: “Te abrió un doloroso viento sin memoria… Nació de allí el canto ardiente”. Così Marina ha tradotto, tempo fa, parte del mio tweet:«ɑ». Ti aprì un doloroso vento smemorato. L’età incipiente spazzò la tolda e la speranza in fuga morì così. Ne nacque il canto ardente. [PB]

Ora che ho quasi concluso di porgere saluti ed esprimere gratitudini, mi rendo conto di quanto la mia narrazione sia parziale ed incompleta, rispetto agli anni che ho vissuto sul SN. Una sintesi che predilige e si fonda quasi esclusivamente nell’ambito della poesia. Avrebbe, mi chiedo, potuto essere diversamente? Il mio profilo ha accolto durante questi sessanta mesi gran parte della mia scrittura poetica e di prosa poetica. Le relazioni che si sono andate aprendo ed approfondendo sono state sempre più, e quindi quasi unicamente con il passare dei mesi, ispirate a tale condizione esistenziale primaria. Non è però stato sempre così. Non è stato solo così. Il mio essere stato giornalista[il mio essere?] mi ha indotto ad utilizzare inizialmente e per lungo tempo il profilo secondo l’attitudine professionale maturata in un’esperienza durata quasi tre decenni. Le mia indole incline ad un impegno civile ispirato a principi, orfano per scelta sempre di appartenenze ed alieno alla militanza, ha trovato a lungo la finestra innocente. Per almeno tre anni la mia vita, partecipazione attiva ad esperienze di impegno civile a vario titolo vissute, ha trovato sostegno, eco e risonanza nei dialoghi, nelle relazioni, nella scrittura sul SN. Di tali due flessioni esistenziali rimangono ampie tracce sulla TL. Mi piace ricordare alcuni, tra quelli che più intensamente ho seguito ed ai quali va ora il mio grazie: @liberiegiusti; @valigiablu; @journalismfest; @libera_annclm; @RedattoreSocial; @comitato13feb. Ci sono tra loro, oltre ad organizzazioni ed associazioni, alcune singole persone, ma non vorrei millantare crediti di confidenza privi dei titoli interiori e di esperienza che li sostengano. Certamente avrò dimenticato qualcuno ed avrò fatto torto ad altri: me ne scuso.

E’, questo, un approccio assai sommario, lo riconosco e lo ripeto, che certamente non rende giustizia di quel tanto ed altro che ho appreso e che devo ad alcuni di coloro che ho seguito o alle letture ispirate o suggerite da persone che non mi seguono e che non seguo. Che sicuramente, e per certi aspetti giustamente, non dice tutto della qualità e della profondità delle relazioni, della generosità intensa e particolare di ciascuno. Tale incompletezza è uno dei motivi, forse uno dei due fondamentali, per cui ho accarezzato a lungo l’ipotesi di lasciare il profilo aperto e vivo, concluso in sé sulla soglia del giorno scelto per il congedo, ma non estinto. Come fosse una testimonianza completa e compiuta in sé, che nulla cancella ed elimina del mio impegno, perché è abbastanza chiaro che nella cura assidua e prolungata del mio profilo ho impegnato me stesso prima di tutto, e nulla togliesse della generosità di altri che nel tempo lo hanno sostenuto, hanno contribuito ad arricchirlo, a costruirlo. E’ però il solo metodo che posso assumere per fare sì che questo congedo non sia un apparato critico di commento ad un’esperienza e nemmeno un’istantanea del reale. Sia, invece, quello che vorrei fosse, un accento di senso, come il lampo dell’intuizione, a sigillo di un’esperienza ed in esso, l’accento, la nota profonda e continua della inestinguibile gratitudine. Quella dovuta ad una visione rispettosa della relazione, secondo la quale ciò che è stato vero dura. Ciò che è stato è per sempre.

Ho un profondo rispetto per le avventure dell’anima e della mente che sono nate, sono cresciute, sono state vissute nel segno di un fondamento interiore. Il più possibile prossimo al diapason ciascuno di sé nella relazione. Potrei dire su, fino al cielo cercato e raramente raggiunto, nella vita e nella parola, della comunione. Ho una sacra consapevolezza della loro potenziale finitudine. Dunque, per me, i vissuti che si sono distinti in tali caratteri primari sono vivi per sempre, anche quando sono o sembrano storicamente conclusi nella finitezza delle cose del mondo. Vi è un’infinità di esempi possibili, nella storia dell’umano, minuscoli o grandi [ma significa poi qualcosa, qui, distinguere?] che rimandano l’eco persuasa di tale esperienza. A sostegno di tale visione. Perciò non ne farò neanche uno.

Addio, dunque, miei fratelli lettori, sinceramente amati nella parola del canto, ed infinitamente grazie a voi che avete restituito e donato vita alla parola della poesia. O, certamente, arrivederci per sempre nella memoria di ciò che è stato, nella speranza di ciò che eternamente è. I sentieri interrotti nel qui ed ora della storia, sono tenuti da un filo di Luce interiore amante che non si spezza mai. Ciò che è stato vero, eternamente dura nella verità persuasa che lo ha sostenuto. Non so concepire l’ipocrisia quale elemento costitutivo della vita. Non potrei mai, dunque, nemmeno pensare il tu della relazione, di qualunque natura fosse, come ipocrita lettore. Piuttosto, l’ho sempre cercato e sentito come angelo della comunicazione [comunione]. Per la parte che dipende da me, l’io testimone che vibra e trema nella sua parola poetica, che è più dell’eco viva della vita e più della sua rappresentazione, ho tentato di essere sempre abitato dal Qualcosa che tutto precede e che tutti ispira. Rispondendo sempre con un sì accogliente alla Sua presenza ed alla Sua vocazione e grato al dono ricevuto del canto. Abitando una parola persuasa, attento che mai indulgesse, sospinta dall’ego, orgoglio e vanità, fino alle soglie varcate della retorica.

Anche il silenzio rimane scolpito nella dura pietra del tempo. E la sua eco risuona in eterno quando l’infinità dell’orizzonte interiore è una mano tesa nella parola [Celan], oltre l’angusto varco del piccolo ego. Nessuno si salva da solo. Anche se il canto nasce spesso nel Dolore. Talvolta nella Solitudine. Certamente, sempre nel Silenzio. Grazie, grazie infinite, dunque, di tutto l’ascolto, di tutta l’attenzione, di tutto il tempo. Della vita che nella parola del canto risorta al vostro sguardo mi avete donata.

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